L. Fezzi, "Il dado è tratto. Cesare e la resa di Roma", Laterza, Roma-Bari 2017.
"Un giorno può avere il respiro di un’epoca: forse lo pensava anche Giulio Cesare, quando decise di varcare il Rubicone" (Andrea Giardina)
Nel gennaio 49 a.C., Cesare, conquistatore delle Gallie, sfidò un "ultimatum" senatorio. Alla testa di alcune coorti legionarie varcò il Rubicone, pronunziando una celebre frase. Nello stesso giorno occupò Rimini, presidio strategico della terra Italia. Si spinse poi verso sud, minacciando la stessa Roma, cuore di una "res publica" ormai egemone sul Mediterraneo.
Pompeo, incaricato di fermarlo, rispose con una mossa meno celebre ma altrettanto fatidica. Ordinò all’intera classe politica di abbandonare la città e di seguirlo, per contrattaccare dal meridione della Penisola o, addirittura, dai Balcani.
Il panico fu inenarrabile. Mai i romani si erano trovati di fronte a una situazione del genere. L’Urbe, nella sua secolare storia, era stata sempre difesa, con alterne fortune, da nemici esterni e interni.
A Cesare essa fu invece abbandonata, assieme al suo ricchissimo tesoro.
Che cosa avvenne in quei terribili giorni? Come si giunse a una situazione tanto sconcertante? Roma era davvero indifendibile? Quali furono le conseguenze della fuga pompeiana?
Per rispondere occorre ricostruire la temperie politica e istituzionale che aveva trasformato la gloriosa "res publica" in un sistema logoro e corrotto, nel quale ormai troppi non credevano più, e che Cesare riuscì a piegare con rapidità impressionante.
ISBN: 9788858128015